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Home I nostri inviati

LE “CAMPANE” DI CHERNOBYL

Svitlana Volkova by Svitlana Volkova
10 agosto 2018
in I nostri inviati, svitlana volkova
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LE “CAMPANE” DI CHERNOBYL
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Svetlana Volkova lavora da oltre venti anni come corrispondente speciale del Primo Canale di Stato della Televisione ucraina, inoltre svolge attività come presentatrice e regista televisiva oltre che come sceneggiatrice di programmi ad alto contenuto sociale ed etico-morale.
Attualmente stà preparando una telemaratona che sarà dedicata alla catastrofe nucleare di Chernobyl che riguarda, in particolare, la tragedia dei bambini che vivevano in quella Regione. In assoluto una prima visione Tv.
Tutto il materiale è stato predisposto in lingua sia ucraina che russa poiché verrà programmato sia dal canale russo “Tele Ostankino” sia dalla Tv di Stato ucraina.
L’idea di fondo del programma si basa sul fatto che la mente umana fissa soltanto alcuni particolari degli avvenimenti che ci colpiscono, solo col passare del tempo si riesce ad avere una visione completa di ciò che è realmente accaduto. Anche la famosa poetessa ucraina Anna Achmatova scriveva che ognuno dovrebbe fissare ogni momento della sua vita su di un diario per poi poterlo rivivere in maniera totale successivamente. Nella stessa maniera in cui una videocamera fissa le immagini di ciò che accade su di una pellicola, memorizzandole per poi tramandarle alle generazioni successive.
Questa telemaratona dovrebbe occupare lo spazio televisivo di una intera giornata, perciò è stato necessario predisporre un adeguata mole di materiale filmando diversi e interessanti momenti della vita dei bambini coinvolti nella catastrofe.
E’ stato ripreso un gruppo di questi bambini evacuato da Pripiaf e portato in una scuola di ballo, allo scopo di riabilitare psicologicamente le loro menti. Successivamente sono stati portati dalla troupe televisiva in altri ospedali dove loro coetanei erano stati ricoverati per le gravi malattie contratte in seguito all’esplosione del reattore nucleare di Chernobyl.
Con i balli che avevano imparato e l’allegria che avevano riacquistato, potevano alleviare le sofferenze dei piccoli degenti affetti da forme tumorali della tiroide e dalla leucemia.
A questi bambini, le cui mani erano divenute quasi trasparenti, come la cera delle candele, la Fondazione australiana della Diaspora ucraina, presieduta dalla Sig.ra Sinaide Botte, ha fatto giungere doni e giocattoli, manifestando così per prima la propria solidarietà ai piccoli sventurati.
Per una tragica coincidenza, anche la bella e giovane Sinaide è deceduta a causa di una malattia a carattere oncologico definita ormai dai medici come la ”malattia della catastrofe di Chernobyl” .
Quei bambini furono felici di ricevere quei giocattoli e cantarono sottovoce liete canzoni che noi filmammo senza farcene accorgere per non disturbare la loro contentezza. Cercavamo di individuare chi, fra di loro, avrebbe potuto rispondere ad una domanda molto delicata: volevamo capire quali ricordi erano rimasti impressi nella loro mente relativamente a quella “giornata nera”, quell’incubo che avrebbe cancellato per sempre i sogni beati dell’infanzia. Quella giornata che li aveva visti evacuare dalla “zona dei trenta chilometri” attorno a Chernobyl, costretti ad abbandonare i loro giocattoli, i loro amici animali, le loro case.
Eppure, per tanti bambini, quella giornata terribile pareva non essere stata così nera. Molti di loro pensarono di essere partiti per una breve vacanza dalla quale sarebbero presto tornati. Un gioco che non comprendevano ma solo un gioco.
E ascoltando le risposte dei bambini, anch’io tornavo con la mente a quel giorno maledetto, al ricordo chiaro e netto che mi accompagnerà per tutta la vita.
Credo che quella mattina tutti fossero più o meno informati su quanto era avvenuto. Io ero rimasta all’oscuro di tutto. Nella casa dove abitavo, occupata da poco, non avevamo ancora né televisione né radio. Mia figlia trotterellava per casa e voleva che la portassi a fare una passeggiata. Appena uscite dal portone, la città sembrava deserta. Per le strade non si vedeva nessuno, i bambini che solitamente giocavano nella piazzetta erano scomparsi. Non capivo cosa potesse essere successo. Pensai che il mio orologio si fosse fermato, poi arrivai a pensare di stare ancora dormendo e che era tutto un sogno. L’unico segno di vita era dato da un vecchio barbone che raccoglieva bottiglie di vetro. Il tintinnìo delle bottiglie che si urtavano era l’unico suono che rompeva quell’assurdo silenzio che mi circondava. Quel suono mi rimarrà nella memoria come la mia “campana di Chernobyl”. Tutti gli ucraini hanno un ricordo speciale di quel giorno maledetto, tutti hanno la loro cosiddetta “campana di Chernobyl”, il suo personale ricordo indelebile.
Per una bambina in ospedale, la sua “campana di Chernobyl” era il disegno di un bosco con tanti fiori colorati, di quelli che sbocciano a primavera. Ricordo che non voleva parlare, si limitava a fissare la telecamera con i suoi grandi occhioni tristi. Qualche tempo dopo, abbiamo chiamato l’ospedale per sapere se era migliorata, ma il suo nome era stato cancellato. Era volata in cielo, spero in mezzo ai bei fiori che aveva disegnato.
A noi rimane il suo sguardo triste, lo sguardo di una bambina che deve morire senza averne colpa alcuna, uno sguardo che grida al mondo intero che Chernobyl non è solo un problema ucraino, che Chernobyl è un problema che riguarda tutta l’umanità.
Mentre procedevo al montaggio di tutto il materiale girato, mentre riguardavo gli occhioni tristi della bambina, certo non avrei mai immaginato che anch’io sarei finita sul registro di un ospedale in attesa di passare, come tanti altri, sul tavolo di una sala operatoria, con la speranza di cavarmela solo con l’asportazione della parte malata.
Chernobyl è chiusa. Si aprono le porte degli ospedali

Nell’astanteria di un ospedale di Kiev, reparto di chirurgia della tiroide, ogni lunedì si accalca una folla di persone giunte da tutta l’Ucraina, in attesa di poter avere una diagnosi definitiva della loro malattia.
Avutane conferma, dovranno essere visitati dagli specialisti, dal cardiologo e dallo psicologo poi, un martedì entreranno in sala operatoria.
I malati sono tanti, aumentano sempre di più, il martedì si fanno fino a venti operazioni.
Quando ero ancora studentessa al corso di giornalismo, ricordo che i colleghi già al lavoro, a volte si fingevano medici o infermieri se dovevano svolgere un’inchiesta sugli ospedali. Ciò permetteva loro di scrivere un buon articolo e anche, al termine del lavoro di riprendere la propria personalità senza crearsi problemi psicologici.
A me è capitato invece di cambiare professione a tutti gli effetti, da giornalista sono diventata malata senza la possibilità di scrivere un bell’articolo – poichè non riuscivo ad esternare le mie sensazioni – e senza far finta di essere malata o di poter lasciare l’ospedale la sera.
Un famoso scienziato era convinto che sotto l’effetto degli anestetici avrebbe avuto delle idee geniali e volle fare la prova. Al suo risveglio, davanti ad un folto gruppo di amici che avevano voluto essere presenti all’esperimento, fu capace solo di dire: “la banana è grande ma la buccia è più grande”. Prova fallita. Ma ne parlai con Nicola Vasilievic Gulciy, primario della Clinica di endocrinologia a Kiev. Un medico di grande esperienza, un medico che riesce a comprendere la psicologia dei suoi pazienti, in particolare di quelli che solo ultimamente hanno imparato cos’è la biopsia.
Gulciy dice che anno dopo anno si registra una preoccupante crescita di malattie oncologiche. Nel 1999 sono stati operati 280 malati di cancro, nel 2000 le operazioni sono salite a 360. Negli anni scorsi gli operati alla tiroide erano il 5%, nel 2000 sono arrivati al 7%.
Secondo lei , quando dobbiamo aspettarci il picco della malattia?
Non posso dire nulla di nuovo, dopo Hiroshima e Nagasaki, gli studi effettuati hanno evidenziato che il picco massimo si raggiunge dopo 13 – 15 anni dall’avvenuto contatto con la radiazione. La categoria più a rischio è quella dei bambini di allora, che devono essere sottoposti ad un controllo costante.
I genitori della nuova generazione, allora, sono quelli maggiormente a rischio?
Sì, stiamo cercando di spiegare i rischi attraverso tutti i mezzi di comunicazione. Noi vorremmo che tutti e non solo le categorie più minacciate, si sottoponessero ai controlli necessari.
Sono sufficienti i normali controlli medici o è necessario effettuare anche la biopsia?
Purtroppo i fondi che abbiamo a disposizione sono molto limitati. Cercheremo ugualmente di fronteggiare questa emergenza. Anche la solidarietà internazionale ha diminuito il suo aiuto umanitario perché è mancata la certezza che il flusso degli aiuti arrivasse a giusta destinazione.

Mentre stavo parlando con il dottore è arrivata una coppia di fidanzati, un italiano ed una ragazza ucraina: Enrico e Siclana. La loro storia è uguale a quella di tanti altri. Lui ha voluto che la ragazza facesse tutti i controlli medici del caso e questi controlli, eseguiti quasi per caso, hanno portato alla scoperta di un tumore alla tiroide. I dottori dicono che c’è speranza che possa esserci una soluzione positiva dopo l’operazione e che Siclana possa indossare l’abito bianco da sposa ed avere una famiglia felice.
(continua) Svetlana Volkova
(adattamento italiano di G.R.)

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