(13-22.7.2018)
Torno a Johannesburg (per brevità chiamata “Jo’burg”) un anno dopo perché,
incredibilmente, in sei-sette giorni non ero riuscito a vedere il centro della città ed ero
partito con il dubbio di dove mai fosse. Mi sono reso conto che in realtà l’anno prima ero già
vicino al centro ma… non lo avevo capito! Ecco il perché: oltre a non essere particolarmente
bello, il centro è anche molto povero, animato da un’infinità di piccoli commerci. Insomma,
quello che di solito si trova nelle periferie, qui è in centro, mentre al di fuori Sandton e
Rosebank (quelle che abbiamo visto) sono aree della città molto benestanti. Da questo
punto di vista ricordiamo un solo precedente: San Salvador. La capitale di El Salvador era uno
slum in centro e benestante in periferia.
C’è un secondo motivo che ci ha spinto a tornare: volevamo vedere il famoso Kruger Park,
un’enorme area protetta di circa 20.000 kmq, ma abbiamo ripiegato sul meno noto e molto
più piccolo Pilanesberg National Park, 550 kmq, perché più vicino e (relativamente) meno
costoso. In realtà anche questo non scherza. Ci rendiamo conto che quello dei parchi naturali
è un vero business rivolto a ceti medi e alti. In due giorni facciamo due game drive, cioè
escursioni di quasi quattro ore su un mezzo adatto per vedere gli animali. Vediamo elefanti,
giraffe, rinoceronti, ippopotami e così via, ma non un solo leone. La prima guida lo aveva
detto che non poteva prometterci niente.
Ritorniamo a Johannesburg senza sapere che ci troviamo in Sudafrica proprio quando cade il
centenario della nascita di Nelson Mandela, cioè il 18 luglio 1918. E senza saperlo andiamo
all’Apartheid Museum proprio quel giorno, che per la ricorrenza era aperto gratuitamente
(altrimenti il biglietto veniva 95 Rand, circa 6,5 euro). E’ una grande festa per questo paese
che, come spesso è successo nella storia di tanti altri tra cui l’Italia, a giudicare dalle vicende
interne non sembra all’altezza di un tale leader. Naturalmente il museo dà molto spazio a
Mandela, ma ci sono anche due piccole ma interessanti sezioni, una dedicata all’estrema
destra bianca, che raggiunse la massima forza nel 1993 – proprio quando il regime razzista si
stava sbriciolando – potendo contare su circa 80 organizzazioni, e l’altra invece alla ristretta
opposizione bianca all’apartheid, sempre interna al paese, espressa in Parlamento dal
Progressive Party, che dal 1961 al 1974 riuscì a eleggere un solo rappresentante, la sua
combattiva leader Helen Suzman. Anche il Liberal Party era su posizioni anti-apartheid, ma
non riuscì mai ad avere una rappresentanza parlamentare e si dissolse dopo la repressione
del 1968. Fuori dal Parlamento le posizioni antirazziste, sempre molto minoritarie e represse
dal regime, trovarono voce in alcuni settori delle chiese e persino nella razzista Chiesa
Riformata Olandese, nelle università di lingua inglese e nel quotidiano Rand Daily Mail.
Quante volte nella storia i grandi cambiamenti sono stati il frutto di minoranze emarginate
ma combattive che sono riuscite a diventare maggioranza?