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CONNIVENZE FRA BRIGATE ROSSE E APPARATI DELLO STATO. UN’UNICA, LUNGA LINEA ROSSO SANGUE UNISCE L’ASSASSINIO DI MORO A QUELLO DI FALCONE.

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31 luglio 2018
in Le inchieste
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CONNIVENZE FRA BRIGATE ROSSE E APPARATI DELLO STATO. UN’UNICA, LUNGA LINEA ROSSO SANGUE UNISCE L’ASSASSINIO DI MORO A QUELLO DI FALCONE.
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Il 23 dicembre 1995 sul n. 10, anno I, de “il Difensore Civico” diretto da Rosario Caccamo, usciva sulle 4 pagine centrali una delle mie inchieste che resero quel periodico particolarmente seguito da speciali apparati dello Stato e dell’Antistato. L’inchiesta conteneva denunce molto precise con nomi di personaggi e di società coinvolti a vario titolo in operazioni poco pulite, oltre a documenti e foto che ben illustravano quanto riportato nel lungo articolo. Documentazione tutta fatta avere ai Giudici che conducevano le indagini in quel periodo e, comunque, a disposizione di tutti i lettori delperiodico, allora distribuito nelle edicole di gran parte d’Italia. Alcune notizie riportate allora hanno avuto un seguito, qualche personaggio è stato cancellato dalle cronache, come la fidanzata, successivamente moglie di Martelli; la giornalista di inchiesta Gabriella Carlizzi è purtroppo deceduta per un male secondo molti, me compreso, dovuto alle troppe “pressioni” cui era stata sottoposta nel corso delle sue indagini; il sig. Lorenzo Marracci (cioè Narracci) dai Carabinieri passato al SISDE, ritenne denunciarmi per diffamazione e il processo finì con la mia condanna (udite, udite!!) al pagamento di una multa di un milione e mezzo di lire, la metà della cifra edittale prevista per quel reato, che mi sono sempre rifiutato di pagare anche perché chiesi subito al mio avvocato di ricorrere in appello…che non fu mai celebrato forse causa indulto voluto dal Ministro della Giustizia Clemente Mastella. Già dal 2016 tre pentiti hanno fatto il nome di Narracci come persona dei “Servizi” coinvolto negli omicidi Falcone e Borsellino. Il foglietto riportato in copertina e nell’articolo fu ritrovato nei pressi della casetta da dove Brusca disse di aver manovrato il meccanismo (mai ancora specificato) col quale comandò l’esplosione di Capaci. Per il resto…basta leggere con la volontà di capire.

 Gabriele Ratini

IL COVO DELLE BRIGATE ROSSE, IN VIA GRADOLI, APPARTENEVA AI “SERVIZI”.VINCENZO PARISI, FUTURO CAPO DELLA POLIZIA, DEL SISMI E DEL SISDE, AVEVA UN APPARTAMENTO NELLA CASA DI FRONTE AL COVO

Non siamo arrivati in possesso dei documenti di proprietà degli immobili siti in via Gradoli per puro caso, né per miracolo. La scoperta che quegli appartamenti fossero di proprietà del preSISDE e di Antonio Parisi(ex Capo di Polizia, SISDE e SISMI di quel periodo – ndr) è stata frutto dell’insieme delle indagini portate avanti sull’esistenza di una “lobby”, trasversale a tutte le Istituzioni e che, per mere ragioni di guadagno e di potere, non ha esitato a compiere rapimenti, omicidi e stragi. Ricostruiamo gli avvenimenti partendo dalle dichiarazioni di Valerio Morucci alla Commissione Moro:“…Conosco la base di via Gradoli per avervi abitato insieme alla Faranda dall’inizio alla metà del 1977. In seguito ci sono ritornato fino a poco prima del sequestro Moro. Escludo che Moro sia stato portato in via Gradoli. Moro è sempre rimasto nello stesso posto….”.Chi, meglio di un infiltrato dei Servizi Segreti, poteva affermare una verità così precisa? Perché Valerio Morucci, dagli atti del processo che intentò a Gabriella Carlizzi per diffamazione, tutt’ora(17 anni fa –ndr)in corso solo perché la giornalista preferì farsi condannare in prima istanza invece di accettare la remissione di querela che le era stata offerta per mettere tutto a tacere. Solo così infatti avrebbe potuto ottenere che i suoi testimoni fossero ascoltati e che il processo continuasse fino al raggiungimento della verità. Solo così le accuse contro i funzionari della Digos, stralciate dal processo di primo grado, potevano essere controllate e riammesse….
“… La scoperta del covo di via Gradoli è avvenuta del tutto casualmente a seguito del lento e progressivo allargarsi di una perdita d’acqua interna al muro del bagno, che si era già manifestata chiaramente da quando io e la Faranda occupavamo l’appartamento. La Faranda chiamò il portiere e l’amministratore(quel Domenico Catracchia che, dal 1973, era socio della IMMOBILIARE GRADOLI SpA ed amministratore del condominio di via Gradoli 96 ma che, nel 1980, sposterà la sede della società in via Gradoli 75 e ne diverrà l’amministratore, – forse perché tenne la bocca chiusa? – ndr di allora)per far loro notare la perdita e la conseguente necessità di una urgente riparazione. L’amministratore ed il portiere si impegnarono ad effettuare la riparazione ma non provvidero a ciò. Per ovviare a questo inconveniente e per impedire l’espandersi della perdita, ogni volta che uscivamo dall’appartamento, chiudevamo la chiave generale dell’acqua. Con l’uso continuo della pinza, invece dell’apposita chiave, questo perno si era consunto, rendendone difficoltosa la chiusura. (Dopo la lettura, avvenuta in seguito, di alcune testimonianze dei Pompieri intervenuti in via Gradoli, sembra potersi ritenere che la perdita d’acqua che portò alla scoperta della base delle “Brigate Rosse” non fu dovuta a questa vecchia perdita, ma proprio ad uno sbagliato posizionamento della doccia, forse lasciata aperta per sciacquare della biancheria)…”Da queste dichiarazioni, non si può non pensare che portiere ed amministratore non si siano messi in contatto con il proprietario, se non altro per riferire del guasto. A chi ne parlò Catracchia? Forse a Gianfranco Bonori, suo consocio nella Immobiliare Gradoli, lo stesso che troveremo insieme a Maurizio Broccoletti in un atto della Gattel Srl, la società con sede in via Baglivi 11 dove facevano capo sia il SISDE che la Banda della Magliana? Chi disse loro di non intervenire? Perché non sono mai stati interrogati?
Domanda:”E’ possibile che le Forze di Polizia abbiano individuato la base di via Gradoli già prima del 16 marzo e comunque prima della sua scoperta del 18 aprile 1978?”
Risposta:”Per quanto a mia conoscenza rispetto agli accurati controlli effettuati dagli occupanti dell’appartamento prima del loro ingresso nello stesso, e rispetto la facilitazione di questi controlli offerta dalla particolare conformazione di via Gradoli, strada molto stretta e tortuosa, ritengo che si possa affermare che l’appartamento abitato da Moretti e Balzerani sia stato individuato prima del 16 marzo 1978.”
A noi, invece, rimane difficile pensare che la Polizia, quando capitò la prima volta in via Gradoli, su segnalazione dei vicini che sentivano uno strano ticchettio provenire dall’appartamento, come di un segnale “morse”, si limitasse ad auscultare con l’orecchio sulla porta per captare eventuali rumori sospetti, e non sfondasse tutto, come era previsto dagli ordini in quei giorni. E perché non furono chieste informazioni sul proprietario dell’immobile, perlomeno dopo che venne appurato che trattavasi di “covo delle B.R.”? Per non dire che era “roba” loro?
E cosa dire del fatto che tanti anni dopo, nel 1995, in seguito ad altra segnalazione di vicini, a causa questa volta dei problemi causati dall’ammassamento di extracomunitari in quegli stessi locali, fosse intervenuto per caso un Ispettore del Commissariato Flaminio, tal Consiglio Pacilio?
E non sarà per caso avvenuto che, una volta sequestrata la droga rinvenuta nell’appartamento, l’intraprendente ispettore abbia logicamente voluto sapere a chi appartenesse l’immobile, andando così a mettere a nudo un “bubbone” che non doveva essere scoperto… a costo di far sparire il suo rapporto su via Gradoli…e di affiancargli un’ex ispettrice di Polizia, poi entrata in forze nel SISDE (si seppe poi che entrò a far parte del SISMI e non SISDE – ndr), tale Gabriella Gagliardini?
Chi convinse Pacilio a consegnare a Roland Voeller documenti relativi alle indagini sul delitto dell’Olgiata?
E perché non supporre anche un’altra possibilità, quella che Voeller abbia solo detto di aver avuto quei documenti da Pacilio, creando così il presupposto per una incriminazione che tenesse l’ispettore nella condizione di non insistere troppo sul “bubbone”? D’altronde il Voeller non aveva una cassetta di sicurezza ….non aveva forse accesso ad una cassetta di sicurezza dei “Servizi”, sita nel caveau della agenzia di piazza Fiume della BNL? (sul caso, vedi numeri precedenti del “Difensore Civico – )ndr): ma se l’on. Moro “…è escluso che stesse in via Gradoli ed è sempre rimasto nello stesso posto” come affermò Valerio Morucci, dove era stato rinchiuso? E da chi?
Per meglio comprendere i fatti verificatisi in quei lontani giorni, dobbiamo riportare altre dichiarazioni relative alla Chiesa di S. Chiara, dove Moro si recava spesso a pregare la mattina presto;“ ..Ad un certo punto, siamo ancora alla fine del 1977, pervenne da parte di qualcuno dei componenti della direzione di colonna, la notizia che Moro era stato visto, di mattina, andare alla Chiesa di S. Chiara a messa. Fu riscontrato da quel momento in poi, da parte mia e di tutti gli altri membri della direzione di colonna, un minimo di regolarità nella frequentazione di S.Chiara. Si valutò allora la possibilità di compiere il sequestro di Moro, all’interno della Chiesa di S. Chiara. Si rilevò che Moro entrava in chiesa accompagnato da due uomini di scorta e che prendeva posto sempre allo stesso banco, nella parte anteriore della chiesa. Gli uomini che lo accompagnavano rimanevano sempre ad una certa distanza da Moro. Alcune volte Moro era accompagnato da un solo uomo. Gli altri tre uomini della scorta restavano sempre fuori, vicini alle autovetture. Al termine della messa, Moro e i due uomini uscivano con sveltezza. Il comportamento degli uomini della scorta non era sempre lo stesso. Uno dei capi – scorta, durante la permanenza di Moro in chiesa, svolgeva la vigilanza percorrendo il tratto tra la FIAT 130 e l’angolo di via Zandonai. Dopo una serie di accurati controlli, si pensò di attuare il sequestro di Moro nella Chiesa di S. Chiara. Si rilevò che la Chiesa aveva due uscite: una su piazza dei Giochi Delfici e l’altra che si collegava con via Zandonai, attraverso la scuola elementare contigua alla chiesa. C’era infatti un corridoio che univa la chiesa alla scuola…”Una volta sequestrato il Presidente della Democrazia Cristiana,“…La macchina con Moro e quella di appoggio, avrebbero dovuto percorrere via Zandonai, che è una strada senza uscita. In fondo a via Zandonai c’è un complesso residenziale con una porta metallica a scorrimento elettrico che consente il passaggio all’interno del complesso ed il successivo sbocco in via della Camilluccia, a circa cinquanta metri dal largo tra il Cimitero Francese e via dei Colli della Farnesina. Per l’accesso al residence era stata fatta una chiave falsa, ricavata da una chiave di lucchetto del telefono. La chiave serviva ad aprire la porta automatica del residence. Una volta superato, con le due auto, l’ingresso del residence dalla parte di via Zandonai, il cancello si sarebbe richiuso automaticamente impedendo il passaggio di possibili inseguitori, e si sarebbe arrivati (una volta usciti dall’altro cancello del residence), percorrendo via della Camilluccia, in via Trionfale….”– (A questo punto dell’interrogatorio, stranamente il PM interrompe il teste dicendo: “Però non avete seguito questa strada e avete fatto il sequestro in via Fani…” e Morucci proseguirà la sua deposizione parlando solo di via Fani…) –
LA VERA PRIGIONE DI MORO
E se, dopo l’esfiltrazione, Moro fosse stato portato invece a Forte Boccea? E se alla scorta fosse stato ordinato magari da un alto ufficiale dei “Servizi” (13 anni dopo l’eccidio, venne scoperta la presenza in via Fani del maggiore Guglielmi, all’epoca del rapimento capo nucleo operativo della VII Divisione del SISMI con sede sotto Forte Boccea)di fare un giro a vuoto perché il presidente della DC correva il pericolo di un attentato, e quindi di tornare successivamente a prelevarlo? Servirebbe in fondo a dare una spiegazione a tutti quei colpi sparati contro l’autovettura, a causa dei quali morirono cinque uomini ma l’On. Moro non sarebbe stato neanche scalfito…. Quasi che fra i Brigatisti ci fosse Pecos Bill !!!
Bisognerebbe infatti spiegare come si fa, sparando con un’arma automatica a canna corta, a colpire solo certi bersagli ma non un altro …vicinissimo. Se poi aggiungessimo che lo stesso alto ufficiale (probabilmente ripreso nelle fotografie scattate da Gherardo N ucci da un balcone che dava su via Fani, prima ancora che arrivasse la Polizia: “…un uomo brizzolato, sui cinquant’anni, in borghese, che arrivò subito sul luogo dell’eccidio dando ordini – secondo i testimoni – come un poliziotto”)avrebbe potuto raggiungere agevolmente il luogo dell’eccidio, sparare con una calibro nove al capo scorta che era sceso dall’auto senza la pistola in pugno (forse perché aveva visto qualcuno di cui si fidava?)e rimanere in zona per poi far sparire le borse di Moro dalla macchina (che, come si vede dalle foto, non furono portate via dai “ Brigatisti Rossi”, visto che erano ancora lì, fotografate dai poco attenti cronisti dell’epoca).Senza contare la scritta sul muro, in via Caetani, vicino alla Reault rossa col corpo di Moro : “Gladiatori te salutant”, subito cancellata ma ancora presente sulle prime foto di quei giorni. Forse riferentesi al fatto che il VII livello sotto Forte Boccea era la sede di Gladio?
UN TECNICO SIP ESPERTO IN “BLACK OUT”
E se al famoso “black out “ della SIP del 5 aprile (quando un funzionario comunicò alla DIGOS che non si era riusciti ad intercettare la telefonata al MESSAGGERO con cui le BR annunciavano il comunicato n. 4, perché cinque linee telefoniche erano andate in tilt proprio nel momento in cui i brigatisti telefonavano),ed a quello simile del 2 maggio (che porteranno il dott. Spinella, capo della DIGOS, a dichiarare in Commissione” di avere constatato un atteggiamento di assoluta non collaborazione da parte della SIP”)collegassimo il fatto che la SIP all’epoca dipendeva dalla STET, di cui era amministratore delegato Michele Principe, iscritto alla loggia P2? E se a questo aggiungessimo che un tal Lorenzo Marracci, (errore: Narracci –ndr) fin dal 1977 agente del preSISDE di via Fauro, ricopriva nel 1978 l’incarico di caponucleo della SIP a Roma durante il rapimento Moro. Dopo la creazione del SISDE nel 1978, entrava regolarmente in ufficio passando dalla saracinesca blindata in via In Selci 26, da dove si possono controllare i Carabinieri del Nucleo Operativo, loro dirimpettai…a loro insaputa. E che, nel 1992, mentre era vice di Contrada al SISDE in Sicilia, ricopriva l’incarico di caponucleo della SIP a Palermo…. Con competenza su Capaci quando le gazzelle di scorta a Falcone cercarono di comunicare con la Centrale per sapere se il posto di blocco sulla strada per l’aeroporto era previsto, e ricevettero risposta affermativa… da qualcuno esperto in black out che aveva disinserito le comunicazioni e rispondeva come fosse la Centrale della Questura. Tanto che le auto si fermarono fiduciose …e fu strage. Poi, l’esplosione coprì tutto e depositò la terra sul tetto di auto che non erano state lanciate in aria da un’esplosione sotterranea avvenuta mentre passavano a 140 chilometri l’ora, bensì erano ferme ai bordi del cratere provocato da un’esplosione avvenuta dopo che una ruspa ebbe fatto calare la sua benna contro il cofano della macchina blindata per scardinarla poiché gli occupanti non volevano scendere e con la quale non potevano più allontanarsi a causa delle auto di scorta che gli stavano stranamente tutte e due dietro, impedendo ogni possibilità di fuga. Perché un’auto di scorta non stava davanti’ ( forse perché, fingendo di fare una manovra di copertura, si andava invece a piazzare in modo di impedire ogni via di fuga?). perchè nessuno ha controllato se i tre uomini che si sono salvati fossero per caso proprio quelli che avrebbero dovuto stare davanti? Perché i cadaveri furono subito posti nelle bare? Perché non fu fatta l’autopsia? Era l’anno in cui l’allora Ministro della Giustizia, Claudio Martelli, uno dei pochissimi che poteva essere a conoscenza dei reali movimenti di Falcone, si accompagnava con Elisabetta Finocchi, figlia di Michele.
…E SPUNTA UN’ALTRA SOCIETA’
Poi avvenne che un giorno del 1993, durante una missione in terra di Puglia, alcuni carabinieri del ROS, al lavoro vicino Taranto, si accorgessero di essere pedinati da strane auto… che risultarono “coperte” da un’ancor più strana società. Iniziarono le indagini…che finirono “per errore” in un fascicolo della Procura di Palermo intestato a Bruno Contrada e Lorenzo Marracci, il suo vice. La società edilizia romana risultò implicata nell’organizzazione della strage di Capaci. Gli stessi documenti avrebbero dovuto essere acquisiti nell’inchiesta sulle società del SISDE in corso nel “porto delle nebbie” romano. E invece sono stati stranamente rinvenuti in questi giorni (1995 ndr) anche nelle abitazioni degli ultimi ufficiali e sottoufficiali dell’aviazione militare “trovati” dopo tanto tempo e mancanti nella lista dei presenti al tempo della tragedia di Ustica.

Perché, ci chiediamo, nel decreto di sequestro n.2174/93R, –emesso in data 07/01/94 da parte del ROS dei Carabinieri , delle società del SISDE (Capture Immobiliare Srl; GEI Srl; Immobilcristy Srl; Kepos Srl; Immobiliare e Servizi Srl, Immobiliare Helios Srl; Onda Blu Srl; Palestrina Terza Srl; PROIM Srl; Servoimmobiliare Srl; …costituite allo scopo di investire in attività immobiliari i proventi del reato di peculato)– manca la GUS – Gruppo Unità Speciali – Srl, costituita nel 1977, con sede in via Ruggero Fauro 82 a Roma? Di queste società fa parte uno dei “ritrovati”, il tenente Colonnello Paolo Perrocco dell’Aereonautica Militare, vice comandante della stazione radar di Montecavo, ma in forza alla postazione radar di Licola il 27 giugno 1980, giorno della strage di Ustica, ed in frequente contatto, quel giorno, con il maresciallo Antonio Berardi che operava al C.O.P.C. – COmando Operativo Centrale – di Santa Rosa. Il maresciallo Berardi risulta domiciliato in via del Fontanile Arenato n. 162… accanto ad una porta blindata di colore rosso che, attraverso un sottopassaggio, dà accesso ad una villetta che si trova dalla parte opposta della strada, in cui ha sede un istituto di suore. Da quella villa con il tetto irto di antenne, il giorno 21 dicembre 1993, alle 19.45 circa, fu visto uscire un uomo brizzolato di mezza età, che nascondeva alla meglio sotto la giacca una mitraglietta M70. In seguito alla denuncia sporta, nei giorni successivi, 22 e 23 dicembre, iniziò il prelevamento di una ingente quantità di materiale che venne caricata su di un camion della Polizia scortato da due gazzelle. In fondo a via del Fontanile Arenato, su di un ampio terreno che pervenne nel 1977, dopo vari “giri”, ad una società dei Servizi, erano state edificate tra il 1978 ed il 1980, alcune splendide villette sui cui citofoni spiccano i nomi di Santucci e Galati del SISDE: Galati, nel 1990, acquisterà a nome della madre Bellissimo Maria Antonia, nata a Monterosso Calabro (CZ) il 21.08.20, una villa in località Colle dei Marmi (Velletri). Proprio davanti a questa villa, un testimone oculare dirà di aver visto rapire il sergente di Marina, esperto di guerre elettroniche, Davide Cervia, residente, guardacaso, poco più in là, senza saperlo, tra le ville del Generale Meloni (vedi Ustica ) e quelle di altri funzionari del SISDE. Per ritornare al rapimento Moro, nessuno ha mai spiegato l’arcano della mancata coincidenza dei fori della coperta che ne ricopriva il cadavere, con gli unici due, calibro nove, che ne causarono la morte. Tanto è vero che, quando al processo fu chiesto ai Brigatisti se Moro si fosse lamentato mentre sparavano sul suo corpo avvolto nella coperta, in fondo al bagagliaio della Renault 4 rossa (nella quale fu ritrovato in via Caetani), risposero che neppure si mosse. Probabilmente non sapevano che, dall’ultima esfiltrazione, Moro era arrivato già morto.

Gabriele Ratini

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